In questi ultimi mesi mi sono dedicata alla lettura di libri che, per un
verso o per l’altro, trattano di felicità.
Facile sarebbe dire che è un’esigenza dettata dal periodo
che stiamo vivendo, il telegiornale sembra il diario di bordo di un Risiko
immaginario, e la cronaca della carta stampata non è da meno.
La molla che mi ha fatto decidere di scrivere su questo
tema, in effetti, è molto più umile dell’analisi di tutto ciò.
Un pomeriggio, mentre camminavo presa dai miei pensieri, un suono inusuale ha
attirato la mia attenzione. Mi sono fermata, cercando di capire cosa mi aveva
colpito e sorpreso.
Guardandomi attorno, ho identificato subito quel suono che
non sentivo da tanto tempo: un signore mentre passeggiava stava fischiettando.
Addirittura aveva un’ombra di sorriso sul viso!
Accidenti, ho pensato, quella è una persona felice.
Un panda, un gorilla dell’etologa Fossey, una stella alpina,
insomma una vera e propria specie in via di estinzione.
Ho rimuginato per giorni su questo incontro, ed ho iniziato
ad osservare le persone intorno a me, e vedevo persone infastidite, arrabbiate,
per lo più nervose o scocciate, spesso imbronciate.
Felici, no davvero.
Allora, sempre più incuriosita, ne ho cercato la
definizione: la felicità è lo stato d’animo (emozione) positivo di chi ritiene
soddisfatti tutti i propri bisogni. L’etimologia significa abbondanza,
ricchezza, prosperità.
E subito, lo so, scatta l’associazione con le cose
materiali. Se “possiedo” molte cose, allora sono felice. In realtà, credo che
il concetto si riferisca anche alla sfera emotiva, non solo a quella materiale.
E come si fa, oggi, che siamo immersi in così tanti problemi, ad essere felici?
Per trovare risposta a questa domanda, ho cominciato a
leggere libri.
Ho scoperto con piacere che ad Harward, prestigiosa
università americana, si tiene regolarmente un corso pratico di psicologia
positiva definito “corso per la felicità” tenuto da Tal Ben-Shahar. Allora,
incuriosita, ho letto il suo libro “Più felice”, un manuale pratico per essere
felici nella vita di ogni giorno.
Essendo fuori catalogo, non è di questo libro che voglio
parlarvi ma di “Lettera a mio figlio sulla felicità”di Sergio Bambaren.
L’autore, noto al pubblico per il suo primo libro “Il delfino” che ha
ottenuto un successo mondiale, definisce questo libro (scritto per essere
donato al figlio, ma anche a noi lettori) una mappa per affrontare il viaggio
più importante in questa vita, ovvero quello verso la felicità.
Bambaren è un autore australiano, nato in Perù e attualmente
vive negli Stati Uniti. Esperto surfista e ambasciatore di battaglie ecologiste
ha girato il mondo in cerca del vero significato della vita.
Quando è nato suo figlio, Daniel, decide di condensare in un
libro quello che, nel bene e nel male, è la sua esperienza delle prove che lui,
come tutti noi, dobbiamo affrontare ogni giorno in questa vita.
Questo libro si è aggiunto subito a quelli che ho già
acquistato in questi anni per mia figlia, una sorta di piccola biblioteca che
le regalerò quando sarà un pochino più grande.
Perché ai nostri figli insegniamo a leggere e scrivere, a
far di conto, ad essere educati, ma l’ABC delle emozioni, quello no. Siamo
tutti fai-da-te in questo ambito, con il risultato spesso di essere adulti
confusi e (forse) poco felici.
Io mi impegno ogni giorno ad insegnare a mia figlia a
distinguere gli stati d’animo, le sensazioni, a coltivare e sentire le
emozioni, quelle belle, quelle che ci rafforzano e ci fanno stare bene anche
quando la vita ci mette in ginocchio o a dura prova.
Agire, non reagire ad ogni stimolo esterno, e lo fai solo se
sei consapevole di cosa stai provando.
E allora, pare, si può imparare anche ad essere felici, se
si sa come fare.
Ci si allena, come a leggere e parlare una lingua
sconosciuta, si traduce dal noto al meno noto.
Non è facile, ma neanche troppo difficile, proprio come
imparare a fischiettare.
Magari non ne abbiamo nessun motivo, ma scopriamo che farlo
ci mette di buon umore.
E il segreto per esser felici, per quel che ne ho capito io,
è che non esiste un’unica ricetta: ognuno aggiunge e toglie ingredienti all’impasto che chiamiamo Vita.
Forse il segreto è tutto qui.
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