Non amo particolarmente gli autori che scrivono racconti,
perché mi pare di stare in compagnia dei protagonisti troppo poco: è come
quando ti trovi in una qualsiasi sala d'aspetto, e cominci a guardarti intorno,
osservi le persone che dividono l’attesa con te.
Capita che il tuo vicino di sedia sia un tipo interessante,
allora intavoli una conversazione piacevole con lui, ma se dopo poche parole di
minuti condivisi se ne va, dispiace. Rimane il segno con attorno la polvere,
come quando sposti un oggetto rimasto li per anni.
Ecco, questa metafora la applico anche ai racconti: se dopo
poche pagine il protagonista interessante ti ha accompagnato velocemente alla
fine del racconto, rimane un senso di incompiuto, di voler leggere ancora di
lui e della sua storia, e ha lasciato un segno, indelebile.
Con un romanzo, c’è tutto il tempo di conoscere a fondo il
nostro vicino di sedia, anche se è fatto di pagine e inchiostro.
Con la scrittura della Munro, questo non succede.
I suoi incipit ci accompagnano subito dentro una storia,
come se noi (insieme a lei) sapessimo benissimo cosa ci ha portato qui,
sapessimo l’antefatto, il prima,
quello che ci ha condotto sin li.
Lei premio nobel per la letteratura nel 2013, lei canadese, lei
che ha scritto un unico romanzo, “Lives of girl and woman”, lei già vincitrice per ben tre volte del
Governor General’s Award, il più importante premio letterale canadese, lei
donna, lei che decide che sarebbe stata una scrittrice di racconti e non di
romanzi (ha dichiarato di prediligere i racconti brevi perché aveva poco tempo
per scrivere e tre bambine a cui badare), lei che decide di scrivere alla vita con la
sua tredicesima raccolta “Uscirne vivi”, che avrebbe il titolo “Dear life,…” cioè Cara vita (e detto tra
noi, non ho mai condiviso questo modo di cambiare il titolo ai libri quando
vengono tradotti in altre lingue).
Lei che racconta storie confezionate in piccole perle di
parole che sfidano la vita, letteralmente, e ci incita ad osare a vivere talmente
intensamente da uscirne vivi.
Da cosa? Ma dalla vita, ovvio, con la vita e per la vita,
con le sue sfide, i suoi rischi, le
domande inattese, le emozioni, quest’ultime definite da lei stessa “materiale
radioattivo”.
Ogni racconto ci lascia la sensazione intensa di uno
scampato pericolo, mai palesato, ma insito nella vita stessa di ogni giorno.
Delle relazioni umane
leggiamo attraverso la vita quotidiana, inframmezzata da pensieri, emozioni dei protagonisti che
interrompono segreti e scopriamo che con tutto ciò possiamo convivere, ed
uscirne, appunto, vivi.
La vita è difficile da percorrere, ma uscirne vivi è
necessario, per attraversarla indenni e
riuscire ad essere felici.
La caratteristica della Munro è quella di scrivere di
persone qualunque in un momento qualunque della loro vita, perché a volte, io
penso, sono le persone che nessuno
immagina che possono fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può
immaginare.
Questa, è la potenzialità di ogni attimo della vita di ogni
giorno: uscirne vivi ci dice che la felicità costa, ma è possibile più del
dolore.