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da "GRETA e il daimon" di Marina Andruccioli
"Lei era così: mi metteva sempre un paio di occhiali con cui mi faceva vedere le meraviglie del mondo, anche se i suoi insegnamenti non si potevano definire proprio ortodossi, ma sapeva quel che mi stava insegnando, e voleva a tutti i costi che sua figlia guardasse “oltre”, anche se io lo capisco solo ora, cosa stavo guardando.
Una delle cose che adesso apprezzo dell’educazione che ho ricevuto da bambina è stata la non convenzionalità delle esperienze che facevo e che mio malgrado hanno formato la Greta che sono diventata crescendo.
La mamma mi spingeva a mia insaputa ai bordi del sentiero della vita, ai perimetri delle esperienze che i bambini della mia età facevano tutti i giorni, perché a camminare al centro del sentiero, quello percorso dalla maggior parte dell’umanità, quello più battuto e comodo insomma, era troppo ovvio e banale, per lei, e di conseguenza anche per sua figlia.
Voleva che io esplorassi anche il limite cespuglioso del sentiero, forse un pochettino pericoloso, della via della vita, delle mie esperienze di tutti i giorni.Ma la mamma non mi faceva notare solo le cose belle della Natura, ci teneva che io amassi anche le cose “brutte” che popolano la Natura, che comprendessi la loro funzione e non ne avessi paura.
Io avevo paura dei ragni, ma la mamma mi costrinse a guardarne uno da vicino, ad osservarlo attentamente.
Dopo averlo fatto, la mamma mi disse "Se osserviamo una ragnatela, ci stupiremo dalla perfezione dei giochi geometrici che la compongono, prova a pensare che la Natura non ha un concetto di bello o brutto in modo assoluto. Quello che a noi umani può sembrare un brutto e ripugnante essere è invece capace di tessere un merletto che, grazie ad un po’ di rugiada del mattino, si trasforma, come per magia, in una autentica bellezza della Natura".
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