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Recensione de "Il miglio verde" di Stephen King

Per questa estate "da brivido" per l'alternarsi delle temperature, ho pensato ad un libro che ho letto anni fa, ma che rileggo volentieri: “Il miglio verde”, di Stephen King. Questo famosissimo autore statunitense, soprannominato il re del brivido, è noto al grande pubblico anche per i film tratti dai suoi libri di genere horror come “It”, “Carrie” o il celeberrimo “Shining”, film di Kubrick con uno straordinario Jack Nicholson. Certo, la pazza estate che stiamo vivendo ci ha già regalato brividi ad oltranza con questo alternarsi di temperature che mi ha portato a credere che il cambio degli armadi sia oramai una consuetudine assolutamente inutile, quindi lascio l'horror agli estimatori del genere, e vi propongo invece un King differente, lo spettacolare autore che ha dato vita con la sua penna ad un libro come “Il miglio verde”, un romanzo pubblicato nel 1997, ma uscito nel 1996 in sei puntate mensili. La storia, ambientata negli anni Trenta, ci conduce tra le celle del Blocco E del carcere di Cold Mountain, nel blocco della morte, la zona del carcere dove sono detenuti i condannati alla pena capitale. Il titolo prende il nome dal tratto del corridoio del carcere che conduce alla sedia elettrica, tratta che nelle altre carceri è chiamata ”l’ultimo miglio” e che nel carcere dove è ambientata la storia viene chiamata “il miglio verde” per via del colore del pavimento. Il libro ci parla in prima persona, ed è il capo delle guardie del braccio della morte che ci racconta la storia della sua vita da quando arriva in carcere un condannato a morte, John Coffey, un uomo di colore, dotato di poteri sopannaturali. Chi conosce King saprà già che spesso i protagonisti dei suoi romanzi sono dotati di “superpoteri”, proprio come Superman o Batman, ma sono eroi in negativo, nel senso che sono succubi dei loro poteri, anche se tentano di usarli per aiutare il prossimo, e sono spesso derisi ed emarginati dalla società in cui vivono. Ho scelto di parlarvi di questo libro, perché si discosta decisamente dal genere horror al quale l’autore ci ha abituati, delineando una storia di amicizia e di valori grandi, ambientata in un luogo borderline, e anche questa è una caratteristica di King: portare una situazione allo stremo, e sembra dirci con il ghigno con cui siamo abituati a vederlo nelle foto che lo ritraggono “e adesso vediamo cosa succede”. Quindi, metti la tensione che sale in un luogo chiuso senza via di scampo, metti degli esseri viventi che hanno commesso degli sbagli e stanno aspettando di pagare con la vita gli errori commessi, metti il tempo che passa lento ma inesorabile verso un appuntamento con la morte deciso dal'uomo e non dal fato che solitamente decide per tutti noi, metti un'abbondante dose di umanità che non ti aspetti nei carcerieri e, in ultimo, mischia tutto con il soprannaturale e il risultato è un libro potente e commovente, che ci richiama alla coscienza lo spinoso tema della pena di morte che di recente è tornato alla ribalta per l’agonia protratta durante l'esecuzione per iniezione letale di un condannato a morte in USA. Posso asserire con certezza che in questo romanzo King dimostra di saper coniugare brividi ed emozioni; sono pagine ricche di sensazioni forti che commuovono e toccano nel profondo il lettore. A mio avviso, nonostante sia conosciuto come scrittore di genere horror, questo autore riesce a costruire l’umanità dei personaggi come pochi altri sanno fare. Il romanzo è stato adattato per il cinema nel 1999 ed interpretato da un superbo Tom Hanks nel ruolo di Paul Edgecombe e da Michael Clarke Duncan come John Coffey; sicuramente da vedere, anche se si è letto il libro.

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